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Scrivere sull'acqua

Crisi aziendale: quanto raccontare?

Aggiornamento: 25 nov

La scrittura della vita di un'azienda prevede inevitabilmente l'analisi e il racconto delle crisi aziendali, momenti difficili accaduti per una concomitanza di cause e che hanno tracciato un profondo solco negativo nei ricordi dell'impresa: i primi clienti che stentavano nell'acquisto, le banche che non concedevano credito, qualche recensione negativa di troppo, il lancio fallimentare di un nuovo prodotto, una pubblicità che non è stata accolta bene dal pubblico, un socio che ha abbandonato l'azienda proprio nel momento in cui ci sarebbe stato invece bisogno del suo massimo apporto.


Crisi aziendale

Sono momenti molto impegnativi da affrontare, che provocano una crisi non solo aziendale, ma anche, e soprattutto, personale. Vengono messe in dubbio le abilità dei manager, l'incapacità di prevedere il flop da parte del CEO, la mancanza di credibilità e la perdita di quote importanti di mercato per mancanza di fiducia da parte dei consumatori.

In un'ottica di storytelling, non è possibile sorvolare su questi momenti, men che meno falsificare o sminuire gli errori che hanno portato al momento di difficoltà aziendale.


Ma allora, che si deve fare?


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Come e cosa scrivere sulle crisi aziendali: strategie di storytelling


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Le crisi aziendali non arrivano solo a causa di errori compiuti dall'uomo: un caso emblematico è stato il virus Covid-19, che ha paralizzato il mondo intero e messo in ginocchio interi settori economici.

In altri casi, invece, è proprio l'azzardo umano che fa compiere scelte provocatorie e assolutamente sbagliate, provocando danni finanziari e d'immagine che sono difficili da ristabilire.

Comunque, prima di iniziare a scrivere su qualche momento difficile, è necessario fissare una strategia basata su quanto viene già realizzato dall'azienda: non andare in discordanza con il tone of voice utilizzato nelle passate comunicazioni, conoscere in anticipo quali saranno le mosse successive decise dal management per superare il problema, studiare le reazioni del bacino di utenza - recensioni, articoli, calo nelle vendite, passaparola negativo - e simulare l'effetto che andranno a produrre le future azioni.


Di seguito può essere utile analizzare le strategie seguite da diverse aziende e vedere i risultati a cui hanno portato.


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Il caso delle Lasagne Colgate


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La Colgate è un'azienda nota in tutto il mondo per i suoi prodotti per l'igiene orale e in particolare per il suo dentrificio, che ha iniziato a venedere in barattoli di vetro dal lontano 1873. Con il nuovo millennio, ha iniziato a differenziare la propria produzione introducendo anche detersivi per la pulizia della casa, prodotti della cura personale come lo shampoo e alimenti per gli animali domestici.


Ovviamente all'uopo era stato creato un vero e proprio laboratorio, che studiava e provava i nuovi possibili prodotti che avrebbero potuto essere lanciati nel mercato per smarcarsi dalla concorrenza. Tra le novità, ancora nei lontani anni '60, si era pensato di allargare la gamma introducendo dei prodotti alimentari, i cosiddetti Colgate Kitchen Entrees, tra i quali è curioso annoverare una linea di antipasti di pollo essiccato e polpa di granchio (introdotta nel mercato e rapidamente ritirata), e una patatina di mela chiamata Snapples, testata di tanto in tanto per un periodo di 2 anni. Questi erano studi che probabilmente facevano nello stesso periodo anche i concorrenti e non destano alcun scalpore. Se non che, nel 2017, viene aperto il Museum of Failure, un museo che collezionava prodotti provenienti da tutto il mondo con lo scopo di imparare dagli errori altrui; tra i tanti casi, inserirono il Colgate Beef Lasagna, mostrando l'immagine del prodotto. Dopo che un visitatore postò l'immagine su Twitter, l'immagine divenne virale e si parlò di colossale insuccesso della Colgate, un epic fail colossale che fece scatenare il web con battute sarcastiche e battute poco rispettose.


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Nessuno approfondì il tema, tranne la rivista britannica The Drum, che in un articolo arrivò alla verità: è vero che il prodotto era stato preso in considerazione, ma il progetto era stato quasi subito fermato perché considerato inadeguato. Il Museo dei Fallimenti era soltanto riuscito a ricreare uno dei possibili mock up che potrebbero essere stati realizzati, ma che non hanno mai visto la nascita effettiva.


L'azienda come rispose a tutto ciò? Non disse assolutamente nulla, perché l'idea era veramente datata e nulla mai era arrivato ai consumatori. Si ritenne quindi che il silenzio fosse l'arma più efficace per far passare piano piano la notizia in secondo piano, fino a scomparire. E fu la soluzione che premiò, perché l'ondata massiccia di pubblicità servì solo per far conoscere al mondo intero l'esistenza del Museo e non intaccò per nulla la notorietà di Colgate, che non fu scalfita minimamente.

Come la Lego ha superato la crisi aziendale


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Un po' tutti credo che da bambini abbiamo giocato con i Lego, azienda danese nata a Billund nel 1932 che produce i mattoncini di plastica più famoso del mondo. Dopo un secolo di successo e crescite costanti, il marchio soffre una profonda crisi aziendale a causa della differenziazione troppo spinta dei prodotti: videogiochi, abbigliamento, orologi e parchi a tema e ben 14mila pezzi unici nuovi in catalogo. L'anno 2003 si chiuse in perdita netta e più di qualche giornale parlò della "fine di un'era".


Nel 2004 però diventa CEO dell'azienda Jørgen Vig Knudstorp, un businessman danese con un background di consulente in McKinsey. La linea che venne seguita fu semplicemente annunciata così: "Abbiamo dimenticato chi siamo. Dobbiamo tornare ai mattoncini". E questa affermazione implicò delle scelte decisionali forti, come la vendita di alcuni dei parchi a tema Legoland e soprattutto la nascita nel 2008 del progetto Cuusoo in Giappone (diventato nel 2014 Lego Ideas): una piattaforma dove chiunque può proporre un set e, se ottiene 10.000 voti, la Lego lo produce davvero. Sono nati così i modelli iconici come la casa dei Simpson, i set delle sit com Friends e The Bing Bang Theory, il treno del film Ritorno al Futuro e molti altri.


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Ogni comunicazione seguiva la linea del rebranding scelto: furono create campagne denominate Rebuild the World" e la narrazione seguì i temi emotivi suggeriti dai set vincitori, aumentando così il coinvolgimento.


In questo caso, fatti e parole si sono costantemente alimentate, utilizzando il medesimo tone of voice, creando così una spirale positiva, che ha permesso all'azienda una crescita costante che ha fatto completamente dire addio alla crisi aziendale dei primi anni del nuovo millennio.

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