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Hai una storia da raccontare?

Affidati a un ghostwriter professionista del collettivo InVece: trasformiamo ricordi, idee e vissuti in libri veri, belli da leggere e pronti per essere pubblicati. Che tu voglia scrivere un romanzo, una biografia o un saggio, ti accompagniamo con cura, discrezione e passione. Perché ogni storia merita di diventare parola scritta.

Scrivere sull'acqua

Come scrivere un libro autobiografico: rotta, prove e responsabilità (senza nostalgie zuccherate)

C’è un’ora — spesso tardi, spesso all’alba — in cui la memoria comincia a bussare come pioggia sui vetri e la pagina si gonfia di ritorni: voci, oggetti, strade. Scrivere se stessi è camminare dentro una città che conosci a occhi chiusi ma che, appena la nomini, pretende mappe, segnali, testimoni. Perché l’autobiografia non è un selfie allungato: è un genere con regole, definizioni, confini. La più asciutta: “narrazione della propria vita o di parte di essa”. La più esigente: il patto autobiografico, quel giuramento silenzioso con cui un autore reale promette verità dei fatti e coerenza di nome tra autore–narratore–personaggio. Non sono ricami: sono il pavé su cui camminerai per centinaia di pagine.


Come scrivere un libro autobiografico

Come scrivere un libro autobiografico nel Self publishing o con un editore non cambia la sostanza: la storia o si regge sulle prove, o non si regge affatto. Cambiano i tempi e i compagni di viaggio; resta identica la domanda che ti morde la schiena in ogni capitolo: “quello che racconto è documentabile, onesto, necessario?” E soprattutto: “che parte di me serve davvero al lettore, e quale è puro rumore?”


Come scrivere un libro autobiografico: cassetta degli attrezzi (definizioni incluse)


Primo: chiamiamo le cose col loro nome. Autobiografia non è memoir. La prima abbraccia l’arco intero di un’esistenza (o vuole farlo); il secondo stringe su una stagione, un tema, una frattura — lutto, malattia, migrazione, processo — e della vita prende un taglio. Confonderle non è peccato veniale: è cambiare promessa al lettore.


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Secondo: metti in tasca la bussola. La voce autorevole di Treccani definisce l’autobiografia come racconto della propria vita; gli studi di Lejeune ricordano che l’accordo con il lettore si firma sul testo — con la verità dei fatti e l’identità dei nomi. Non basta “essere sinceri”: serve metodo.


Mappa in 7 mosse (per non perdersi appena giri l’angolo)


  1. Perimetro. Tutta la vita o un tratto? Se stai scrivendo un romanzo di te stesso, scegli l’ampiezza; se stai operando su un tema, accetta il rigore del memoir e chiamalo così. Il nome non è marketing, è contratto con chi legge.


  2. Patto. Dichiara nella Nota dell’autore che giochi a carte scoperte: nomi reali quando possibile, avvisi quando fondi personaggi o componi scene da più fonti. È l’essenza del patto autobiografico: il lettore sa a cosa crede.


  3. Fonti. La memoria non basta. Raduna diari, foto datate, mail, referti, documenti d’archivio, articoli. Ogni scena significativa dovrebbe poter poggiare su due prove (testimonianza + documento). La tua vita non si difende da sola: serve un dossier.


  4. Struttura. Alterna scene dove il lettore sente il rumore delle stoviglie e sintesi che tirano le fila. Costruisci micro–archi (domanda → snodo → conseguenza) e chiudi i capitoli con aperture, non con sermoni.


  5. Voce. Prima persona senza alibi: verbi vivi, sostantivi giusti, aggettivi sorvegliati. L’io non è un megafono: è una lente.


  6. Etica e diritto. La tua storia incrocia altri. Le immagini e i dati personali non sono terra di nessuno: il GDPR chiede liceità, correttezza, trasparenza, minimizzazione; l’art. 10 del Codice Civile tutela l’immagine altrui e consente di far cessare l’abuso e chiedere danni. Traduzione pratica: consensi scritti, attenzione ai dati sensibili, valutazione del pregiudizio possibile.


  7. Revisione e fact–checking. Alla fine, due giri “a freddo”: coerenza interna (date, età, luoghi) e controllo esterno (riscontri). Se una pagina ti fa esitare, è quella da reinvestigare.


Come scrivere un libro autobiografico

Anatomia di una scena: fare vedere, non raccontare di aver visto


Ricostruisci un pomeriggio in cucina nel 1999. Non dire “eravamo poveri”: appoggia una bolletta scaduta sul tavolo, un orologio rotto appeso al muro, il tonfo di una lettera respinta. I dettagli sono prove: tengono insieme memoria e realtà. Ma se introduci un oggetto impossibile per quell’anno, perdi la causa con una riga. Essere fedeli al tempo — cronologie, linguaggi, tecnologie — è la forma minima di rispetto verso il lettore (e verso te stesso).


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Etica, privacy, responsabilità: la parte che ti salva prima ancora dei tribunali


L’autobiografia porta con sé dati personali tuoi e altrui. Il GDPR non è un brontolio burocratico: è la regola del gioco. Dati trattati in modo lecito, corretto, trasparente; minimizzati al necessario; esatti e aggiornati; conservati per un tempo limitato; custoditi con integrità e riservatezza. Se citi cartelle cliniche o vicende giudiziarie di terzi, chiedi consensi informati o valuta l’anonimizzazione. Sulle fotografie: l’art. 10 c.c. ti ricorda che l’abuso dell’immagine altrui si ferma per ordine del giudice e può costare caro. Non è paranoia: è deontologia di base.


Officina di stile: come far respirare una vita sulla pagina


  • Lessico concreto. Oggetti prima degli astratti, verbi prima degli aggettivi.

  • Tempo verbale coerente. Il passato remoto “solenne” funziona solo se sai reggerlo; il passato prossimo è più elastico ma rischia di appiattire: scegli e non barare.

  • Dialoghi documentati. Se ricostruisci, dichiaralo (es. “dialogo ricomposto da appunti e ricordi”); se citi, metti fonte e data.

  • Lingue e dialetti. Una spruzzata basta. Il cosplay linguistico stronca il ritmo.

  • Montaggio: flashback e ellissi sono strumenti, non giostre.


Domande che devi farti prima di scrivere (e durante)


Chi è il mio lettore implicito? Non il tuo migliore amico: il tuo arbitro. Di quale “io” scrivo? Testimone, imputato, cronista, figlio. Cambia la postura. Cosa metto fuori campo? La rinuncia racconta quanto la scelta. Qual è la mia “prova regina”? Documento o scena che tiene su l’intero capitolo. Che riga mi può esporre a un ricorso? Se la vedi, lavorala adesso.


Come scrivere un libro autobiografico senza inciampare in tre trappole


Agiografia: se il dubbio non entra, il lettore esce. Infodump: nessuno ha bisogno della cronologia completa della tua rubrica; scegli frammenti funzionali. Falso memoir: non stringere su un tema e poi vendere “tutta la vita”; chi legge sente l’inganno. Se decidi per il memoir, dichiaralo: è una scelta onesta e rispettabile, registrata dalle definizioni più autorevoli.


Ricerca: archivi, appunti, calendario (e perché servono anche se “ti ricordi tutto”)


Raccogli cronologie (scuola, traslochi, lavori), liste di oggetti per anno (telefoni, auto, computer, abitudini), prezzi e tariffe indicativi: aiutano a evitare anacronismi e danno peso specifico alla prosa. Conserva tutto in un registro fonti (data, luogo, link/collocazione). Nessuno ti chiederà di allegarlo in libreria, ma ogni pagina saprà di vero.


Come scrivere un libro autobiografico

Pubblicare: self, piccola o grande casa (il metodo non cambia)


Qualunque rotta tu scelga, l’etica e il metodo non cambiano. Se autopubblichi, sostituisci la filiera con contratti puntuali (editing, copertina, impaginazione), consensi e log degli accessi ai materiali sensibili. Se pubblichi con un editore, fatti spiegare come gestiranno manleve e legal su passaggi delicati (nomi, immagini, citazioni lunghe). La libertà è responsabilità con ricevuta.


come scrivere un libro autobiografico: checklist flash (da tenere accanto alla tastiera)


  • Perimetro chiaro (totale o tematico) e dichiarato.

  • Patto esplicito in Nota (nomi, licenze, compositi).

  • Dossier fonti (diari, mail, foto, articoli).

  • Scene + sintesi in alternanza, con micro–archi.

  • Privacy: consensi, minimizzazione, anonimizzazione quando serve.

  • Immagini: attenzione all’art. 10 c.c. (abuso e rimedi).

  • Revisione: controllo cronologie, anagrafi, toponimi; fact–checking esterno su snodi critici.

  • Nota finale sulle scelte di montaggio e sulle fonti usate.


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Postilla sulla verità (e su ciò che non potrai dire)


La verità autobiografica non è un elastico. È un cantiere con paletti: fatti verificabili, intenzioni dichiarate, limiti accettati. Se una rivelazione danneggia un terzo senza interesse pubblico e senza basi, valuta se omissis ed ellissi non siano più oneste e — paradossalmente — più narrative. La letteratura non ha bisogno di eroi immuni: ha bisogno di responsabili.


Epilogo: la città che sei, il libro che resta


La città della tua vita non smetterà di cambiare perché la disegni; ma la mappa che consegni — la sequenza di case, piazze, rumori, litigi, carezze, perdite — può diventare leggibile per chi non c’era. È questo lo scopo, il solo: alzare un ponte tra te e gli altri che regga sotto il peso del tempo. Non c’è oracolo più serio, né più lieve.


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