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Scrivere sull'acqua

Romanzi storici: verità dei fatti, libertà dell’invenzione (senza sconti al lettore)

Romanzi storici non vuol dire travestire la cronaca con costumi d’epoca: significa far parlare il passato con prove alla mano, senza sbrodolare nostalgia. Il genere nasce per restituire “spirito, costumi e condizioni sociali” di un’età trascorsa con un realismo che talvolta è solo “apparente fedeltà”: definizione classica, e ferocemente attuale.


Romanzi storici non sono tutti uguali. C’è chi giura sulla ricostruzione filologica, chi spinge sull’allegoria politica, chi usa l’ibrido noir-saggio per far passare l’idea. Il punto è sempre lo stesso: o i fatti reggono, o la prosa crolla.


romanzi storici

Romanzi storici: dove comincia davvero il “passato”


La tassonomia più usata in ambito anglosassone fissa un discrimine pratico: almeno cinquant’anni tra eventi narrati e stesura, o comunque un autore che non li abbia vissuti e si affidi alla ricerca. Non è legge universale, ma è un buon argine contro l’autofiction mascherata.


Romanzi storici — anatomia di una scena


Immaginate una folla davanti al forno di Milano, inverno 1628: la “carestia dei grani” non è uno sfondo, è un motore narrativo. Il narratore non ci dice che fa freddo: ce lo fa sentire nei gesti, negli oggetti, nelle parole prese dai documenti. Se l’oggetto (un pane, una moneta, una misura) è sbagliato, salta la fiducia. Manzoni lo sapeva benissimo prima di tutti noi.


Il canone minimo: da Scott a Manzoni (passando per Eco)


Walter Scott
Henry Raeburn, Sir Walter Scott (1822); olio su tela, 76.2×63.5 cm, National Gallery of Scotland, Edimburgo

Sir Walter Scott è il padre che non si può scavalcare: con Waverley (1814) e i romanzi successivi codifica il genere moderno — mescola personaggi reali e inventati, colloca i conflitti privati dentro tensioni storiche riconoscibili. Non lo dicono i fan club: lo registrano le enciclopedie serie.


In Italia la consacrazione arriva con I promessi sposi: “storia milanese del Seicento” rifatta sul “manoscritto dell’anonimo”, ossia un congegno narrativo che dichiara le proprie carte e pretende fonti. Non un tableau, ma un atlante morale e linguistico.


Poi la stagione postmoderna: Umberto Eco costruisce Il nome della rosa come macchina di citazioni, intertesti, biblioteche reali e immaginarie; e lo spiega nelle Postille (1983), dove rende conto di titolo, ambientazione, voce narrante, lettore modello. Non “cappa e spada”: metodo e paratesto.


Sul versante internazionale recente, Hilary Mantel mostra come si fa a rianimare figure abusate (Cromwell, i Tudor) senza inciampare nel museo delle cere: intensità psicologica, ricerca puntigliosa, e una contemporaneità che non tradisce l’epoca.


Confini e sconfinamenti: quando “storico” è davvero storico


Il genere non è un recinto, è un patto. La definizione Britannica insiste su fedeltà (talvolta apparente) e dettaglio realistico; la Treccani ricorda che si tratta di illustrare un’epoca mostrando come i grandi eventi impattano la vita privata. Due fari: l’uno avverte del rischio di verosimiglianze fasulle, l’altro obbliga a scendere nelle strade.


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E no, non basta mettere un “diario del 1492” sul tavolino per fare storia: la prova sta nella ricerca (primarie e secondarie), nell’onestà delle licenze, nell’assenza di anacronismi che urlano. Se in un banchetto del 1400 circolano patate e pomodori come in una trattoria moderna, hai perso la causa: quelle piante arrivano in Europa solo dopo lo scambio colombiano, XVI secolo


Metodo: come si costruisce un romanzo senza processi a fine libro


  1. Perimetro. Indica l’arco temporale e perché lo scegli. Evita “tutto il medioevo”: scegli una crisi, una riforma, un assedio.

  2. Fonti. Primarie (cronache, atti, epistolari, iconografie) e secondarie (saggi storici affidabili). Nota d’autore finale con cosa hai spostato e perché.

  3. Lessico e oggetti. Un conio non vale un altro, una misura non vale l’altra. Il dettaglio è la tua “perizia calligrafica”.

  4. Personaggi. Se usi figure reali, vincolati ai dati; se inventi, fagli assorbire l’aria del tempo.

  5. Ritmo. Alterna scena e sintesi: la pagina non è un museo, è un’aula di tribunale dove ogni riga deve sostenere l’interrogatorio.


Umberto Eco

Esempi italiani (e una discussione che non finisce mai)


Chi pretende il timbro “storico puro” guarda a Manzoni; chi osserva la letteratura come laboratorio morale vede nel Gattopardo una luce obliqua: ambientazione risorgimentale, ma sguardo più esistenziale che documentario, come notano diverse letture critiche. Il dibattito è vivo da decenni — ed è salutare: serve a ricordare che “storico” non è un adesivo, è un’intenzione sorvegliata.


Errori tipici (e come evitarli senza diventare pedanti)


  • Enciclopedia in corpo 11. Non riversare saggi nel dialogo: il lettore capisce la deriva didascalica a distanza.

  • Anacronismi alimentari, tecnologici, istituzionali. Verifica calendario di introduzione di piante, armi, cariche, misure; non tutto c’era “già”.

  • Dialetti e registri. Se scegli un parlato d’epoca, fallo respirare: poche pennellate ben controllate, non il cosplay linguistico.

  • Topografia pigra. Le città cambiano: strade, porti, mura. Se sbagli una porta urbana, non ti salva la retorica.

  • Note fuori fuoco. Le note servono a chi scrive, il romanzo serve a chi legge: sposta in coda ciò che spezza il ritmo.


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Che cosa chiedono i lettori (oltre a una bella storia)


In Italia il mercato del libro tiene la rotta: 3,44 miliardi di euro nel 2023 (trade e altri canali), mentre il tasso di lettura oscilla a seconda delle misurazioni (ISTAT 40,1% della popolazione 6+ nel 2023; stime AIE più alte perché cambiano i criteri). Traduzione: la domanda esiste ma seleziona; la qualità paga, la sciatteria si vede.


Laboratorio: tre attrezzi da tenere a portata


  • Definizioni in tasca. Sapere che cos’è un romanzo storico (e perché non è memoriale né saggio romanzato) ti evita malintesi con editor e lettori.

  • Un precedente autorevole per ogni scelta. Scott per l’impianto, Manzoni per il metodo, Eco per la consapevolezza del lettore implicito, Mantel per la respirazione contemporanea.

  • Una “nota dell’autore” onesta. Elenca spostamenti, personaggi compositi, date compresse. Non toglie magia: aggiunge credibilità.


Romanzi storici

Domande secche, risposte con i documenti


  • “Basta dire ‘è tutto vero’?” No: il patto si firma sulla pagina, non in quarta. Le enciclopedie fissano principi: restituzione fedele dei modi di vita e dei contesti, non santini.

  • “Se scrivo del 1995 è storico?” Secondo la prassi della Historical Novel Society, no (manca il margine dei 50 anni), salvo tu non sia estraneo all’epoca e lavori solo su ricerca.

  • “Serve davvero la bibliografia?” Sì: magari asciutta, ma serve — perché il romanzo non è un compito a sorpresa.


Come si riconosce un romanzo storicamente onesto


Un romanzo è onesto quando dichiara il proprio perimetro, mostra la ricerca senza esibirla, evita l’anacronismo, non semplifica le ambiguità dell’epoca (religione, diritto, ruoli sociali) a colpi di presentismo. Scott, Manzoni ed Eco, per vie diverse, fanno proprio questo: tengono insieme intrigo, tempo storico e responsabilità del racconto.


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